Navigare sulla rotta del desiderio

L’articolo esplora il legame profondo tra l’etimologia di "desiderio" (dal latino de-siderare, volgere lo sguardo alle stelle) e la ricerca di senso dell'essere umano. Attraverso il confronto tra l’Ulisse dantesco e i Magi del Vangelo di Matteo, l'autore analizza due modi opposti di seguire la propria "stella": la conoscenza come sfida solitaria e superba (hybris) o come cammino di adorazione e apertura all'Altro. In un tempo dominato da successi effimeri e "fuochi fatui", l’articolo propone di riscoprire desideri che generano legami e bellezza. Il vero traguardo non è il superamento dei confini per ambizione personale, ma la collaborazione per il bene comune. L'auspicio finale è che il Natale sia un’occasione per trasformare il desiderio in un gesto d’amore collettivo, navigando verso una felicità condivisa e pienamente umana.

Stefano Gheno

12/23/20253 min read

C’è una parola che, più di ogni altra, brilla di luce propria nel vocabolario dell’umano: desiderio. È una parola che profuma di infinito, ma che porta in sé la traccia di una mancanza. Se guardiamo alla sua etimologia, scopriamo un legame indissolubile con il cielo: de-siderare deriva da sidus, sideris (stella). Letteralmente, indica l’atto di volgere lo sguardo alle stelle, forse per trarne auspici o forse, più profondamente, per avvertire la nostalgia di ciò che sta "oltre". In questo tempo di attesa che ci conduce al Natale, le stelle tornano a essere protagoniste. Ma come possiamo seguirle? E soprattutto, dove ci stanno portando?

Il "folle volo" di Ulisse e il limite dell'io

Un grande "viaggiatore delle stelle" letterario è l’Ulisse dantesco. Nel XXVI canto dell’Inferno, il re di Itaca racconta il suo "folle volo". Per Ulisse, le stelle non sono solo punti di riferimento per la navigazione; sono il confine che sfida l’intelligenza umana. La sua celebre esortazione ai compagni — «fatti non foste a viver come bruti, / ma per servir virtute e canoscenza» — è il manifesto della dignità umana che rivendica il diritto di andare oltre le Colonne d’Ercole, oltre il noto. Ulisse è il navigante che usa le stelle per orientarsi nel buio del mare aperto. Eppure, Dante lo colloca all’Inferno. Perché punire un uomo che ha cercato l’oltre? La risposta sta nella sua hybris. La sete di conoscenza di Ulisse diventa un atto di superbia perché confida solo nelle proprie forze, trasformando la ricerca in un’autoaffermazione narcisistica che ignora il limite e la relazione con il sacro.

I Magi: sapienza in cammino verso l'Altro

Tuttavia all'autore della Divina Commedia – e anche a noi del resto – era certamente noto un differente gruppo di viaggiatori che, proprio come Ulisse, hanno passato notti intere con il collo rivolto all’insù: parliamo dei Magi di cui ci racconta l’evangelista Matteo.

Anche loro sono saggi, anche loro sono desiderosi di conoscenza nel senso più stretto del termine (con il termine greco Mágoi si indicavano i sacerdoti-astronomi dell’oriente). Eppure, la Chiesa li ricorda come santi, non certo come dannati.

Dove sta la differenza? Azzardo una risposta. Mentre Ulisse insegue una conoscenza che serve a solo misurare la propria grandezza, i Magi seguono la stella per mettersi al servizio di qualcosa di più grande. Ulisse vuole possedere il mondo con lo sguardo; i Magi vogliono adorare ciò che il mondo ha ricevuto in dono. La differenza non è nella quantità di intelligenza o di coraggio, ma nell'orientamento del cuore: l’uno viaggia per superare sé stesso, gli altri viaggiano per incontrare l'Altro.

Distinguere la luce: fuochi fatui o stelle polari?

Torniamo allora a quel de-siderare. Se nel desiderare riecheggia il nostro sentire la mancanza delle stelle, come facciamo a capire quale luce seguire nel buio della nostra quotidianità? Il rischio è quello di scambiare per stelle dei fuochi fatui: successi effimeri, consumo, o quella sete di potere e che ci rende simili all'Ulisse dantesco, soli anche nel proprio naufragio. La domanda cruciale è, quindi, a quale meta tendere? La risposta, forse, non sta in una destinazione geografica, ma in una postura interiore. Un desiderio è buono quando non ci chiude in noi stessi, ma ci apre alla generazione. Seguire la nostra “buona stella” non significa tanto cercare la fortuna o tentare la sorte, quanto aprirsi a quei desideri che generano vita, bellezza e legami. Esiste una felicità che non risiede in un’isola privata, ma in un continente condiviso.

Una nuova rotta: collaborare per il bene comune

È la prospettiva della interdipendenza e della collaborazione: siamo davvero felici non quando otteniamo ciò che vogliamo (magari a scapito degli altri, ma tanto: “mors tua vita mea”), ma quando mettiamo i nostri talenti a disposizione del bene comune. Il desiderio più autentico è quello che ci spinge a fare spazio, a collaborare, a costruire ponti invece di innalzare colonne d'Ercole per poi dimostrare a sé stessi e agli altri di essere in grado di superarle. È il desiderio che riconosce nel volto dell'altro non un limite alla propria libertà, ma la condizione stessa per essere pienamente umani.

L’auspicio: essere cercatori di stelle

In queste sere invernali, vi invito a tornare a praticare l’arte di guardare il cielo. Per scoprire che il riconoscerci piccoli – come ci racconta Leopardi attraverso il suo “pastore errante” – non ci impedisce di essere fatti per grandi cose. Il mio augurio di Natale per tutti noi è che possiamo trovare la nostra "stella": un desiderio che non ci consumi, ma che ci illumini; un’aspirazione che non sia un atto solitario di orgoglio, ma un gesto d’amore collettivo. Che sia un Natale di ricerca, di cammino e, soprattutto, di feconda collaborazione per il bene di tutti.

Buon Natale e buona navigazione a tutti i cercatori di stelle.